Apriamo gli sportelli

Immaginate di essere in attesa alle Poste.

Ci sono dieci sportelli, ma nove sono chiusi. C’è tanta gente, tutta in fila. Irregolare, distratta, rumorosa, ondeggiante come la coda di un gatto nervoso. Chi è davanti assapora l’approssimarsi del suo turno. Un po’ alla volta la testa abbandona le chiacchere, le proteste, gli sbuffi, per concentrarsi su ciò che dovrà chiedere. Una dimenticanza si paga. La punizione, terribile, è di dover ripetere la fila. Sta per capitare a chi adesso è allo sportello, ormai da tanto, troppo tempo e non si vuole rassegnare. E la fila si blocca. E tutti aspettano. Qualcuno, in fondo, si ritira e se ne va, arrabbiato, frustrato, spargendo parole di protesta che rimangono nell’aria e alimentano il nervosismo.

Pensate ora se quei dieci sportelli fossero tutti aperti.

Dieci file, ma dieci volte più corte.

Non solo.

Un clima diverso. Una predisposizione diversa. Non la noia per un’attesa lunga ed incerta, non il timore di dover ritornare e di non averne il tempo, ma solo la piacevole sorpresa che, nonostante l’affollamento, la cosa sarà veloce. Giusto il tempo di ripassare il motivo per cui si è andati in quel luogo, di preparare le carte ed ecco che tocca a noi.

“… e poi serve anche questo documento che può fare allo sportello affianco

Nessun problema, le file sono veloci. Un salto, una breve attesa e poi, con il documento richiesto in mano, in men che non si dica sei nuovamente davanti all’impiegato di prima.

Non c’è motivo di innervosirsi.

Se poi, prima dello sportello, nel territorio che appartiene ai clienti, trovassimo anche un addetto che passa tra la gente per fornire, a chi ne ha bisogno, informazioni immediate o per risolvere dubbi e aiutare a trovare la strada giusta … beh, allora ammettiamolo: sarebbe quasi una pacchia.

Bene.

Immaginate ora un campo dove si stanno allenando dei bambini.

Sono divisi in due lunghe file, contrapposte, separate da uno spazio, talvolta enorme, occupato dal loro educatore. Il primo bambino di una fila corre con il pallone in mano e lo passa al primo dell’altra che a sua volta fa lo stesso con il compagno che ha di fronte. E così via.

Prima che arrivi il suo turno, l’ultimo di ciascuna fila deve aspettare anche un minuto. Quando va bene. Perché il pallone può cadere o l’educatore bloccare il gioco per spiegare come il pallone deve essere passato o, peggio, per riprendere chi, in fila, sta chiacchierando o ridendo o è semplicemente distratto.

Già distratto.

Vieni tu allora in fila qua con me ad aspettare di prendere quel pallone, per correre 20 metri dritto come su di un binario e poi rimettermi in fondo ad aspettare … No, non mi diverto … E poi mi dici di rimanere in fila, dietro al mio compagno, in ordine… Ma io così non vedo niente … Chi ha preso il pallone? E come lo ha passato ? Ho sentito che rimproveravi Gianni, ma se non vedo come posso capire perché ha sbagliato?

Distratto …

Credo che si dovrebbe cercare in tutti i modi di evitare le file (quelle classiche … infinite, monotone, noiose).

Tutte.

Quelle alle Poste, in Comune, dal medico …

E’ difficile, me ne rendo conto. Però non perdiamo l’occasione di eliminare almeno quelle su cui abbiamo potere.

E’ solo la mia esperienza, ma quando allenavo cercavo di usare tutti i palloni che avevo a disposizione. E quando non avevo palloni (perché può capitare… cavolo se può capitare!) usavo delle maglietta arrotolate o delle bottigliette di gomma.

Ma non mettevo in fila nessuno.

Creavo degli spazi, ben delimitati, anche più di uno, di forma e dimensioni diverse. Perlopiù piccoli rispetto al numero dei giocatori a disposizione, perché volevo favorire, in modo naturale, il contatto e aumentare, in generale, le interazioni. Poi sceglievo un campo e ci mettevo dentro i miei bambini.

Pronti … Via!.

Tanti bambini, tutti in movimento, con tanti palloni da passare e altri bambini da evitare o da cercare. E tutti vicino a me, facili da controllare. Sicuramente conoscete già e, in ogni caso, potete facilmente immaginare le innumerevoli variazioni che potevo proporre. Ad esempio, cambiando le andature dei bambini (al passo, al trotto, al galoppo …), chiedendo passaggi di tipo diverso (con una mano, dall’alto verso il basso, a palombella …), lanciando comandi (al mio stop: tutti per terra; al mio via: riprendiamo a passare; al mio “tana” tutti fuori dal campo …), proponendo sfide anche per tenere alta l’attenzione (se cade un pallone …). Dopo un po’, prima che si abituassero, li facevo correre in un altro campo, diverso per forma e dimensioni.

Le novità stimolano e servono a tarare l’esercizio in relazione alle situazioni che si sviluppano tracciando così un percorso logico che risponda alle esigenze di crescita dei nostri bambini.

Variare, tarare, verificare, organizzare.

Ogni tanto poi, entravo nel campo, rompevo le scatole, mi mettevo in mezzo, davo un colpo ai palloni in mano ai giocatori perché lo tenessero ben saldo … sempre in modo mirato, tarato, pensato.

Ma soprattutto, li seguivo da vicino al punto da sentirne il respiro.

Di ciascuno.

Aboliamo le file.

Apriamo gli sportelli.

Paolo Marta

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